Adriana è una volontaria del programma ESC. Portoghese, dall’inizio di ottobre è impegnata presso il nostro Centro per Giovani di via Forze Armate. Conosce molto bene l’inglese e lo spagnolo, sta studiando l’italiano e, al momento, aiuta i ragazzi del doposcuola con i compiti di lingua.

Ma cosa significa fare un’esperienza di volontariato all’estero? Ne abbiamo parlato con Valentina, educatrice de Il Gomitolo, per molti anni presente al Centro per Giovani di cui oggi è referente per il programma ESC.

ESC, European Solidarity Corps, rappresenta una grande opportunità per i giovani perché permette di fare un’esperienza di crescita personale. I ragazzi che vi partecipano scelgono di trasferirsi in un altro paese per un periodo che va dai 2 ai 12 mesi per dedicarsi alle attività del Terzo Settore. Si tratta, secondo Valentina, di un momento altamente formativo rispetto a quello che sarà il loro apporto nel mondo del lavoro: aderire a un programma di questo tipo significa sviluppare quelle soft skills sempre più importanti, impossibili da acquisire con lo studio. Un’esperienza di volontariato all’estero dona una marcia in più perché aiuta ad avere una certa visione dei rapporti, valorizzando le relazioni tanto decantante negli ambienti lavorativi (le iniziative di team building sono sempre più diffuse) ma troppo spesso sacrificate in nome della competitività individuale.

I giovani volontari appartengono a una fascia d’età (18-30 anni) che presenta le maggiori difficoltà d’accesso al mondo del lavoro con percentuali di precariato molto elevate. Questa condizione di instabilità porta i ragazzi e le ragazze a mettersi ripetutamente in discussione: da un lato faticano a prendere posizione, dall’altro riescono a rimodellarsi e ad adattarsi con estrema facilità. Come ben sottolinea Valentina, si tratta di un’arma a doppio taglio, perché se la flessibilità può aiutare, un suo eccesso conduce a grandi difficoltà nel definire la propria identità. ESC può assumere così i contorni di una tappa – in alcuni casi un po’ forzata, quasi un tappabuchi per chi si ritrova senza prospettive – nel percorso di crescita.

Adriana, 23 anni, formazione in marketing, è stata spinta dalla voglia di mettersi in gioco, ha individuato il nostro Centro per Giovani come destinazione investendo tempo ed energie, facendo scelte anche coraggiose. Il suo interesse per gli aspetti interculturali è molto forte. Ha una buona apertura, è consapevole del tempi che stiamo vivendo e della necessità di essere flessibili. L’idea di Valentina e dell’équipe è quella di lasciarle spazio nei prossimi mesi di modo che possa perseguire una sua maturazione e soddisfazione personali, accompagnate dal passaggio di nuove competenze agli educatori e ai ragazzi che frequentano il Centro. Si tratta a tutti gli effetti di uno scambio: «Il volontario, per noi,» afferma Valentina, che ha avuto anche una lunga esperienza in BIR, «non è solo un supporto nel lavoro: è una persona che accompagniamo in quel percorso di analisi e formazione di cui abbiamo parlato prima. Il nostro obiettivo è formare questi ragazzi, insegnare loro a stare nella relazione».

Prima di Adriana abbiamo incontrato Fred e Luciano, portoghesi, e poi Mario, spagnolo, che ha dovuto interrompere il suo volontariato per l’emergenza Covid-19 e che salutiamo con tanto affetto.

Il loro arrivo è stato reso possibile grazie a Joint, associazione coordinatrice che fa da tramite tra l’organizzazione inviante e quella ospitante, accompagna i volontari negli aspetti pratici della vita quotidiana.