Prendiamo di nuovo un caffè con Gherardo Colombo. In questa seconda parte dell’intervista, andata in onda su Shareradio giovedì 2 luglio, si è parlato di carcere.

Martina e Mohamed, educatrice e ospite del Centro Diurno Azimuth, introducono l’argomento.

Martina: Noi con Comunità Nuova e don Gino ci troviamo a lavorare con i cosiddetti ultimi della società, che spesso faticano a trovare anche nella Costituzione la possibilità di vivere una vita degna. Mohamed si ricorda di averla incontrata alla “Nave” di San Vittore (reparto dedicato alla cura dei detenuti dipendenti da sostanze – ndr). Si ricorda i suoi interventi sul senso delle mura del carcere, che dovrebbero creare opportunità, invece separano chi ha commesso reati dal resto della società, come se questo bastasse per migliorare e cambiare le persone e la società stessa. Come possono coesistere il carcere e il rispetto della dignità delle persone, anche degli ultimi?

«Potrebbero coesistere se si attuasse la Costituzione. In essa ci sono tutte le indicazioni, siamo noi a usarla in modo sbagliato, la comunità fa il contrario di quello che la Costituzione prescrive.
Per come è strutturato il carcere oggi, le mura che lo delimitano segregano. Non hanno funzione di protezione né per chi sta fuori, né per chi sta dentro. A volte riescono a svolgerla, più male che bene, quando le persone detenute sono molto pericolose. Ma le persone che stanno in carcere sono prevalentemente non pericolose, quindi le mura del carcere diventano uno strumento di segregazione ingiustificata. Aggiungo che, quando le persone sono pericolose, i diritti si affievoliscono: lo spazio vitale sufficiente, ad esempio, non è concesso… e questo è contro la nostra Costituzione, in particolare contro l’Articolo 27 che dice “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Oggi in tanti chiedono, giustamente, la tutela dei diritti degli animali, perché non è giusto che stiano stipati nelle gabbie. La stessa cosa vale per gli esseri umani, è contrario al senso di umanità non avere spazio vitale sufficiente.
In carcere poi non manca solo lo spazio vitale, ma anche l’igiene. A San Vittore, per esempio, lo ricorderà Mohamed, si passa per un corridoio per arrivare alla rotonda da cui si raggiungono le celle: a metà strada c’è un banchetto dove prendere il proprio pezzo di sapone e la carta igienica. Mancano spazzolino e dentifricio, lo shampoo… te li devono portare da fuori, se puoi ricevere il pacco, oppure li devi comprare allo spaccio all’interno del carcere. Potremmo proseguire con altri diritti fondamentali che non vengono garantiti: come quello alla salute, all’istruzione, alla cultura più in generale, all’informazione (ormai non basta più una tv), all’affettività.
Anche per le persone pericolose, la situazione dentro le mura contrasta con il principio del riconoscimento della dignità delle persone. Tra le condizioni personali e sociali in base alle quali non si può discriminare, di cui si parla nell’Articolo 3 della nostra Costituzione e di cui abbiamo detto in precedenza che saremmo tornati a parlare,  rientra anche il fatto di aver commesso un reato. Secondo la Costituzione non si può discriminare nemmeno in base al certificato penale, in base al fatto che quest’ultimo sia pulito o in qualche modo occupato».

Alberto: Don Gino ha avversione verso le persone che auspicano ma non concretizzano. Lei, quando è entrato in carcere e si è reso conto della situazione, cosa ha pensato di fare concretamente?

«La prima volta che sono stato in carcere ero uditore giudiziario (magistrato ordinario in tirocinio – ndr) e ho pensato che una persona, prima di sentirsi legittimata a metterne in prigione un’altra, dovrebbe esserci stata. Ero comunque abbastanza convinto che, fatte salve tutte le garanzie, il carcere fosse educativo e che, constatate le mancanze, sarebbe stato necessario un impegno per renderlo migliore di quello che fosse. Insomma ero convinto che servisse. Poi, progressivamente, per una serie di motivi che hanno riguardato sia il funzionamento della giustizia in Italia (si veda quanto detto sui muri di gomma nella precedente intervista – ndr) sia una meditazione personale accompagnata da letture, ho cambiato idea e mi sono dimesso dalla magistratura…pensavo di avere ancora 14 anni di lavoro come magistrato e invece…

La questione della situazione nelle carceri è stata cruciale: non si può mettere in prigione la gente quando il carcere è così poco conforme alla nostra Costituzione. Lo dicevo prima e lo ribadisco, se una persona è pericolosa, deve essere messa nella condizione di non agire la sua pericolosità, ma questo non deve essere motivo di sottrazione dei suoi diritti che non confliggono con la tutela della collettività.

Proviamo allora a riflettere sul Diritto, sulle regole: perché ci sono?

Le regole devono essere seguite in quanto tali oppure se e quando sono strumenti per ottenere determinati risultati? Se il diritto è un complesso di regole (leggi, usi, consuetudini) che hanno lo scopo di facilitare le relazioni interpersonali nel rispetto delle dignità personali, se servono per non escludere, allora è un conto. Ma se servono per fare sì che qualcuno abbia potere e scapito di altri, allora è un altro conto. Una volta fissato lo scopo, la regola è lo strumento per raggiungere lo scopo.

Ad esempio, se voglio prendere un treno devo rispettare l’orario ferroviario. Se arrivo in ritardo e perdo il treno non è una punizione, ma una conseguenza necessaria: devo essere in stazione prima che il treno parta. Le regole disegnano relazioni di causa-effetto, a volte sono relazioni naturali (come nel caso dell’orario ferroviario), altre volte sono elaborate da noi come conseguenza dell’idea che abbiamo dello stare insieme. Per esempio, la riforma della legittima difesa è ispirata a un concetto di gerarchia tra la persona e il bene materiale in base a cui il bene materiale può contare più della vita di una persona».

Diego: Se le regole sono sbagliate o vengono reputate tali, cosa si fa?

«Dipende. Se si tratta di un divieto di sosta che non ha motivo di esserci, lo rispetti e scrivi al sindaco per spiegare i motivi per cui quel cartello andrebbe rimosso.

Ma se invece di tratta di regole che riguardano i diritti principali della persona e che creano discriminazione effettiva, seria, a cui non è possibile rimediare tempestivamente con altre regole previste dall’ordinamento prima che la legge abbia prodotto le sue conseguenze, allora, se non si usa violenza e se ci si assume la responsabilità della violazione, in alcuni casi non è permesso, ma è doveroso infrangere la legge ingiusta».