Un grande ospite per la puntata di Pausa Caffè del 25 giugno: Gherardo Colombo, ex magistrato, non ha bisogno di presentazioni. I ragazzi del Diurno lo hanno intervistato. In questa prima parte si parla ancora di muri, con una prospettiva diversa, quella giuridica, con un occhio alla nostra Costituzione e uno alla realtà dei fatti.

Senza troppo preamboli, lasciamo la parola a Gherardo Colombo.

«I muri sono uno strumento: la loro valenza etica e il loro rapporto con la giustizia dipendono da come vengono usati, negativamente o positivamente.

Nel primo caso creano discriminazione, non sono in linea con il senso di giustizia definito dalla nostra Costituzione, che poi è anche il mio. La nostra Costituzione si basa sul riconoscimento universale della dignità della persona umana e di conseguenza rifiuta la discriminazione. Tutti i cittadini, ovvero tutte le persone, hanno pari dignità e non è possibile discriminare secondo le differenze di etnia, genere, lingua, religione e in base alle condizioni personali e sociali (su queste ultime spesso facciamo confusione, vale la pena soffermarsi poi per definirle meglio). In Italia la discriminazione è vietata.

I muri però possono essere usati anche positivamente, possono servire anche a proteggere dalle intemperie, ad esempio quando costituiscono una casa. Ricordate i tre porcellini? Chi costruisce il muro più solido riesce a difendersi. Il lupo simboleggia l’aggressione, il male. La Costituzione dice che il domicilio è inviolabile, ciascuno di noi ha una sfera di riservatezza da tutelare di cui abbiamo bisogno come essere umani. Il domicilio di tutti è inviolabile, tutti hanno diritto a un muro entro il quale svolgere la propria riservatezza. Un muro può essere costruito anche per fermare il corso dell’acqua: ad esempio, una diga è un muro che serve per creare energia elettrica o per fermare le alluvioni. Ma se la diga è fatta male significa che il muro, inteso come mezzo, è sbagliato, viene usato male e può fare danni… è successo tante volte nella storia.

A volte il muro è fatto in modo tale da essere strumento del verificarsi della discriminazione. E allora non coincide più con il senso della giustizia che implica che la persona sia sempre e comunque degna di essere considerata. Allora i muri vietano, diventano escludenti.

Bisogna fare attenzione: anche i muri della casa vietano. Lo dice la Costituzione. Ma vietare l’ingresso non autorizzato nella propria casa è un principio che riguarda tutti, tutti hanno il diritto di avere una casa, quindi questo divieto riguarda la tutela della riservatezza di ciascuno. Di conseguenza non costituisce una discriminazione. Quando invece serve per fare differenze allora il muro contrasta con l’idea di giustizia che di basa sulla dignità universale. Come i muri che impediscono ai migranti di entrare senza nemmeno che ci sia la possibilità di verificare se sia un loro diritto entrare. Da noi la Costituzione prevede che abbiano diritto a entrare in Italia coloro che nel loro paese non possono godere delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione.

Possiamo fare un paragone con il domicilio: se nel pianerottolo qualcuno sta per essere pugnalato, per quanto il domicilio sia riservato, ho il dovere di aprire la porta e farlo entrare. La stessa cosa vale per i muri dello stato. Se qualcuno è nelle condizioni, anche sotto il profilo economico, definite dalla Costituzione e noi abbiamo la possibilità di poter aiutare, diventa un dovere aiutare. L’Articolo 10 della Costituzione dice: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

Possiamo interrogarci su cosa siano le libertà democratiche. L’Articolo 4 dice che la Repubblica riconosce il diritto al lavoro, è una libertà democratica per i cittadini italiani. Le cose diventano di spessore quando si va a fondo. Il lavoro nel paese del migrante è vietato o non ce n’è? Si potrebbe fare questa distinzione, ma poi, secondo me, subentra come principio fondamentale il riconoscimento della dignità di qualunque persona».

DIEGO: Don Gino aveva introdotto il concetto di muro di gomma. Quale muro per lei è stato davvero difficile da superare, ha rappresentato un muro di gomma? Io faccio di nuovo riferimento a Ustica. In quali indagini ha fatto davvero fatica a trovare la verità?

«L’esistenza dei muri di gomma dipende dal fatto che la nostra cultura non coincide con quella della nostra Costituzione. La nostra costituzione dice una cosa, noi pensiamo sia giusta un’altra cosa. Noi pensiamo complessivamente, salvo eccezioni molto rare, io, nonostante vi stia dicendo queste cose, non mi comprendo tra queste, che sia giusto discriminare. Passiamo molto del nostro tempo a giudicare gli altri, anche nelle cose più banali, ad esempio per come sono vestiti. Lo facciamo tutti… anche sui social l’impegno maggiore è rappresentato dal parlar male di altri. Si assume il principio che sia giusto odiare chi odia: così però entriamo anche noi nel circolo. Questo è il segno della nostra cultura. E allora è inevitabile scontrarsi con muri di gomma, perché le nostre relazioni sono basate sul riconoscimento della valenza positiva della discriminazione. Bisogna porsi l’interrogativo quotidianamente, volta per volta, concretamente nella nostra condotta. Ci vuole un impegno notevole perché ci è stato insegnato a scuola che è giusto discriminare. Molti insegnanti sono molto attenti, ma il modello si fonda sul fatto che chi sta dietro alla cattedra ha il potere e può fare quello che vuole. Quindi, se arriva in ritardo, la colpa è del traffico, ma se succede al ragazzo, prende la nota. Questo è il nostro modello. Solo se ce ne rendiamo possiamo cercare di modificarlo.

Un’altra questione riguarda la convinzione di poter risolvere le relazioni nel conflitto. Noi gestiamo le relazioni soprattutto attraverso la conflittualità. Perché ci sono le guerre? Questo è un esempio estremo, ma quante volte capita di togliere il saluto a qualcuno? La nostra Costituzione è notevolmente inclusiva, noi siamo di base escludenti.

Pensando al carcere, si crede che la punizione sia uno strumento educativo positivo perché insegna a obbedire. Rende molto difficile, però, che si acquisisca una capacità critica che consenta di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ciò che è utile da ciò che è inutile. Noi ci schieriamo (perché siamo più tifosi che altro) in fazioni, ma avendo lo stesso strumento di relazione: ovvero inclusione dell’amico ed esclusione del nemico. Nemici sono sostanzialmente tutti, salvo una piccolissima cerchia di persone con cui stabiliamo relazioni affettive. Anche qui poi dovremmo fare un discorso approfondito… nella Bibbia Caino uccide Abele, Roma nasce quando Romolo uccide Remo: succede tra fratelli (quella che è la cerchia più stretta), capite dunque come siamo marchiati da questo? Se fosse un fatto di DNA non ci sarebbe speranza, la nostra Costituzione sarebbe fatta per gli Angeli, non per gli uomini. Ma se invece fosse un fatto culturale, e io spero che lo sia, allora ci sarebbe speranza. Ciascuno di noi deve modificare la sua cultura di modo che diventi sempre più coerente con un’idea di inclusione che riguardi tutti.

Nel mio lavoro ho incontrato molti muri di gomma che mi sono serviti a elaborare un pensiero diverso. Come l’indagine sulla P2,trasferita a Roma dalla Cassazione si è poi sfilacciata e ha perso di significato; oppure quella sui fondi neri dell’IRI, miliardi di lire spesi per foraggiare personaggi politici, ripianare debiti nei giornali di partito, sovvenzionare fratture nei partiti, mediaticamente è stata fatta dimenticare; e poi Mani Pulite è stata un’altra esperienza…è finita Mani Pulite ma non la corruzione nel nostro Paese. Queste indagini, una meditazione personale e alcune letture mi hanno convinto a cambiare idea e a dimettermi dalla magistratura: ha influito molto la questione riguardanti le condizioni del carcere, non si può mettere in prigione la gente quando il carcere è così poco conforme alla nostra Costituzione. Se una persona è pericolosa, deve essere messa nella condizione di non agire la sua pericolosità, ma questo non deve essere motivo di sottrazione dei suoi diritti, che non confliggono con la tutela della collettività.

La prospettiva di inclusione non va molto d’accordo con il giudizio, la mancata assunzione di responsabilità nella relazione con l’altro non può essere collegata a una situazione negativa artificiale. Gli strumenti di cura della frattura nella relazione devono essere diversi, sono quelli che utilizzate voi, che utilizza don Gino. Consentono di far sentire l’altro, di non cacciarlo. La questione, alla fin fine, riguarda l’amore: tutti abbiamo bisogno di essere considerati, il male si vince attraverso il bene, che consiste nell’avere relazione con l’altro».