Il mercato è luogo di passaggio e quindi luogo di incontro: Alessandro, Valeria e Sandra dalla fine del 2019 si occupano del progetto Salvacibo e Antispreco nei mercati del Municipio 6 di Milano. Li abbiamo idealmente seguiti nello spazio e nel tempo, passando attraverso il lockdown e la pandemia, tra via Curiel, via Strozzi, via Odazio/Segneri, via Vespri Siciliani e via Ponti. Ne abbiamo ricavato un ritratto variopinto e umano, ricco di persone e personaggi (i nomi sono tutti di fantasia), in cui la solidarietà e lo scambio sono le molle che attivano gli ingranaggi e ne impediscono l’arresto, anche nei momenti più complessi.

Di martedì si comincia con i due ambulanti del Bangladesh, con verdura e frutta fresca preparata proprio per noi: scelgono quella buona, ci aspettano sempre. Insieme alla cassetta piena di colori forniscono un carico di energia che rafforza.
Il panettiere invece ci ha dato il cuore, la sua felicità nel donare: pane fresco perché, non lavorando di lunedì, non aveva le eccedenze del giorno precedente. La crisi economica, che si è intrecciata a quella sanitaria, non gli ha più permesso di sostenere costantemente il progetto.

Camminando per via Strozzi si arriva alla parrocchia di San Benedetto e l’oratorio di Don Orione: un saluto al prete con cui si è creato un sodalizio antispreco. Nulla va perso, se avanza qualcosa, si regala alla chiesa. Le educatrici dell’oratorio e i ragazzi che hanno frequentato i campus estivi sono stati nostri allegri compagni di viaggio. Ci chiedevano frutta e verdure per fare la macedonia e altre merende fresche in questa estate calda. Sono i giovani di oggi, quelli che capiscono il valore di un frutto, del cibo, di tutto ciò che nutre.

Abbiamo imparato a riconoscere i volti: i mercati del mercoledì e del giovedì sono frequentati dalle stesse persone. Come i coniugi moldavi, Paolo e Serena, “rovistatori” che da tempo partecipano a progetti di recupero e distribuzione delle eccedenze. Paolo è dimagrito: “Ma come, durante il lockdown non hai mangiato?” una battuta ironica per scoprire la verità: il coronavirus lo ha colpito, è stato in ospedale due mesi. Qui al mercato ci fa vedere le foto dei pazienti in ospedale, di quei malati con cui si è sviluppata solidarietà, di chi ce l’ha fatta e di chi no, ricorda la vicinanza con i dottori che non ti fanno sentire solo anche se non puoi riceve visite. Ora è di nuovo qui ad aiutarci. Incontriamo la signora Francesca, sempre a camminare con il suo carrello perché le fa bene: da 15 anni conosce Paolo e Serena e con loro si dedica assiduamente al recupero.

In lontananza si scorge Alberto, circa 35 anni, un irriducibile rovistatore, originario dello Sri Lanka. Nessuno riusciva ad avvicinarlo, troppo timido, ma forse siamo riusciti a convincerlo con le nostre azioni, con quello che facciamo quotidianamente, e ora è abile e arruolato: ci segue nei diversi mercati per dare il suo contributo. Dopo aver ricevuto la sua parte durante la distribuzione, riparte con la ricerca: è più forte di lui, non si tratta di bisogno!

Sabrina, come sempre riempie il carrello: egiziana, sposata, con un figlio, si preoccupa del vicinato e porta anche a loro qualcosa da mangiare. All’inizio cercava di aiutarci come possibile, adesso è una volontaria che opera anche come interprete con i fruitori di lingua araba. Ha affrontato il temibile colloquio con Sandra, portando suo figlio Andrea, frequentatore del CD Giambellino, centro d’aggregazione, come traduttore: voleva essere sicura di capire tutto bene, ha firmato tutti i moduli. E si assunta impegno e responsabilità in modo talmente serio che, in un periodo di assenza, ha chiesto ad Andrea di sostituirla!

Con Sabrina passiamo da Angelo, un ambulante suo amico che non ci fa mancare limoni, prezzemolo, coriandolo e menta: noi lo aiutiamo e lui aiuta noi. Insieme mangiamo una pizza…come quelle che ci ha offerto più volte Daniele, egiziano, titolare di una pizzeria nella zona. Non ci ha mai chiesto nulla, offriva acqua fresca nelle giornate più calde. Dopo il lockdown le cose sono cambiate per lui come per molti altri ristoratori: i clienti sono diminuiti, gli affari crollati. Quando possiamo andiamo da lui a prendere la pizza, gli portiamo la frutta, abbiamo distribuito i volantini del ristorante. È uno scambio nato da incontri semplici, basato sulla sensibilità nei confronti della fatica, quella che fa ciascuno di noi, quella che fanno gli altri.

E capita che a volte si aprano delle finestre, come quelle della signora Valeria: davanti alla sua abitazione al primo piano abbiamo più volte allestito la postazione di Salvacibo e lei non ha esitato a chiacchierare con noi direttamente dal suo soggiorno. Ama la frutta, come le banane e le mele. Sul suo esempio altri abitanti hanno aperto le finestre che danno sul marciapiede e gli scambi, come un vento leggero, si sono insinuati nelle case.

C’è chi non abbiamo ancora rivisto dopo la chiusura, come Monica, che poco prima del lockdown è tornata in Sudamerica e non è più rientrata in Italia, e chi invece prosegue senza sosta nella sua attività quotidiana.
Come Pietro, figura magra, sulla settantina, che raccoglie monetine con il suo bastone dotato di calamita all’estremità. Lo fa con soddisfazione, ci aggiorna con il rendiconto della somma trovata! Non accetta mai nulla, non ne ha bisogno. Ora è pensionato, ma aveva un laboratorio artigiano in quella zona.

È un carosello di personaggi, come “il signore delle galline” che chiede solo cibo per i suoi volatili: foglie di verdura e di insalata, di lattuga. Se ne va in macchina, lasciandoci alle signore del venerdì, spesso anziane, accompagnate dalle badanti. Come Rosita, in carrozzella, simpatica e cordiale ma sempre pronta ad arrabbiarsi e a chiedere, in un accesso d’ira, di essere riportata a casa, salvo poi ritrovare l’allegria dopo due parole buone. La stessa allegria di alcuni bambini rom che accompagnano i genitori.
E incrociano lo sguardo con i volontari di BIR, giovani che quest’anno non sono potuti partire per i campi dell’est Europa e stanno aiutando gli operatori di Comunità Nuova in molti servizi e progetti. Hanno entusiasmo e sensibilità, per loro le zone periferiche di Milano erano poco conosciute: il degrado, anche architettonico, le fatiche degli abitanti vanno oltre la visione idealizzata che si ha della città metropolitana, capoluogo lombardo. Davanti a una realtà poco sincrona con le aspettative si sono mostrati molto sensibili e hanno colto la gioia del sentirsi utili.

All’associazione BIR va un ringraziamento speciale, così come a tutte quelle realtà (parrocchie e organizzazioni del territorio, Spazio Aperto Servizi, Laboratorio di quartiere del Giambellino, L’impronta e La cordata) che hanno permesso al “vento” di cui parlavamo prima di circolare in ogni angolo, portando maggiore consapevolezza e solidarietà.

Il progetto Salvacibo e Antispreco è promosso dal Comune di Milano nell’ambito del Piano Quartieri.