Nella quinta puntata di Pausa Caffè in onda su Shareradio, i ragazzi del Centro Diurno Azimuth hanno parlato di coraggio. Ospite speciale Whalid, che ha terminato la sua esperienza al Centro. Durante il percorso si è legato molto a Morena che avete conosciuto in radio in queste settimane. Per lei Whalid è stato un mentore, un sostegno e un esempio da seguire Proprio lei lo ha intervistato in diretta.

Whalid cosa ti ha portato ad avere l’umiltà e il coraggio di chiedere aiuto?

Essere consapevole di cosa stai facendo, della dipendenza, è un po’ difficile: quelli che iniziano un percorso di vita come il mio non sanno davvero cosa stanno intraprendendo. A un certo punto mi sono reso contro che stavo facendo terra bruciata dappertutto, le persone si allontanavano da me. 
Per recuperare se stessi e la propria vita ci vuole molto coraggio, serve la consapevolezza che quello che si sta facendo non porterà a qualcosa di buono. Bisogna essere stufi di tutto questo e volere qualcosa d’altro. 
Non è una cosa immediata: io ho impiegato 5, 6 mesi prima di capire il significato della mia esperienza al Centro Diurno Azimuth. 

Sei stato molto orgoglioso all’inizio?

Nei primi mesi ho fatto molta fatica. Ringrazio gli altri ragazzi, i miei compagni di percorso, gli educatori che hanno avuto molta pazienza e hanno saputo gestire la mia situazione.
Era come se mi trovassi in una bolla, lì dentro era difficile recepire messaggi: gli educatori, però, sono riusciti a comunicare con me e mi hanno aiutato a sbloccarmi. La comunicazione è una cosa molto importante, bisogna trovare la chiave per riuscire a raggiungersi.

A livello emotivo e umano, cosa ti sei portato a casa dall’esperienza al Centro Diurno Azimuth?

Tutto, non lascio indietro nulla. Dalle cose più piccole a quelle più grandi. Le esperienze belle che ho passato mi danno sollievo, mi fanno capire che vado nella direzione giusta. Pensare alle cose brutte invece mi aiuta a inquadrare la situazione: le conseguenze che ho dovuto pagare, dalle più gravi a quelle più piccole e banali, sono molto d’aiuto per non farsi trascinare, per evitare di ritrovarsi in alcune situazioni critiche. 

Morena e Whalid sono molto legati, hanno un bel rapporto. Whalid ha lavorato con un’altra equipe, non quella presente ora al Diurno. Le cose dette in questa intervista sono molto interessanti anche per i nuovi operatori che l’hanno conosciuto in  una fase avanzata del suo personale percorso di crescita e cambiamento.

In quale momento hai dovuto mostrare di avere coraggio per proseguire nel percorso? 

All’inizio è stata molto dura, ci ho messo tanto per capire cosa stessi facendo davvero, mi portavo dietro dei ragionamenti fuorvianti. Le prime due settimane sono state un inferno, non accettavo quella nuova vita, non mi interessava. Uscito dal carcere avevo in mente di separarmi dalla mia famiglia, di andarmene lontano da loro. 
E invece ho iniziato il percorso proprio grazie a mia madre.
Inizialmente andavo al Diurno solo per fare presenza e per far piacere ai miei famigliari, perché ci tenevano. Io volevo solo scappare e volevo farlo il prima possibile. Ci sono stati un paio di momenti in cui ho rischiato di mandare all’aria tutto: mi avrebbero revocato l’affidamento e sarei tornato al punto di partenza. 
Mi sono aggrappato alle persone a cui volevo più bene, perché sentivo che loro avrebbero potuto indicarmi una strada da seguire, quella che io da solo non riuscivo a trovare 

Al Diurno si recuperano le cose belle. Con Whalid ho riscoperto, o meglio scoperto, cosa sia davvero l’amicizia: non ho mai avuto amici sinceri che mi dicessero cosa stessi sbagliando.

La sincerità per me, per noi, è stata un’esperienza nuova. Prima se non c’era guadagno non c’era amicizia. Scoprire questi rapporti veri ti sveglia, ti fa pensare di avere iniziato a vivere davvero. Entravo al Diurno e mi sentivo come se fossi a casa. Dopo le prime difficoltà inizi a sbloccarti perché sai che nessuno ti giudica, siamo lì tutti per uno scopo: gli educatori sono professionali, noi siamo lì per lavorare su noi stessi.