In questa mattina era stato programmato l’evento Fragile Colpevole, un incontro per capire meglio come la fragilità e la difficoltà siano stigmatizzate e colpevolizzate nella nostra società e come, parallelamente, chi si occupi di persone vulnerabili sia considerato “buonista”.

L’evento, come tutta la Civil Week, è stato sospeso per frenare la diffusione del Coronavirus: è anche questo un segno di responsabilità sociale perché permette di tutelare le persone più deboli e a rischio, quelle che stanno più a cuore alla nostra associazione.

In questa anomala Civil Week vogliamo lasciare la parola a una cosiddetta “buonista”: si tratta di una nostra educatrice, Sara Ferrara, responsabile di Kintsugi, progetto per l’autonomia delle mamme con figli che quotidianamente incontra donne fragili che hanno bisogno di sostegno e aiuto ma che proprio a partire dalla loro fragilità riescono a intraprendere un percorso di cambiamento.

“Ci sono giorni che nascono bene. La visita alla casa nuova è un’emozione grandissima sia per Adna, la diretta interessata, sia per me che l’ho accompagnata! Abbiamo lavorato molto assieme perché questo momento arrivasse cercando di tenere a bada l’ansia che ti prende quando vedi la luce in fondo al tunnel.

In cortile ci confrontiamo sulle aspettative. Adna, che è arrivata dall’Africa in gommone, riparte dalla narrazione proprio da lì, come se questa casa nuova che le è stata assegnata in via definitiva fosse infine l’approdo.

Mi racconta della paura avuta quando ha visto l’imbarcazione che l’avrebbe dovuta trasportare dall’altra parte del mare e del suo diniego a salire su quell’imbarcazione che paragona alla vaschetta dove fa il bagno a sua figlia.

Mi parla di quei quattro giorni in mare. Del terrore, della sete e dell’infinita attesa di arrivare.

Mi racconta anche della tortura di doversi identificare appena dopo lo sbarco e dell’errore tra nome e cognome che non le ha permesso di dare il nome dei suoi antenati alla sua bambina.

Cerco di prepararla alla possibilità che la casa assegnatale non sia esattamente come lei se l’immagina. Con il suo consueto sorriso e la sua umiltà mi dice anche che per la casa non c’è problema: le basta che ci sia un tetto che le tenga al riparo dalla pioggia.

Quando saliamo, affaticate dai quattro piani di scale a piedi, la realtà supera di molto la fantasia. L’appartamento è nuovo, grande, con un bel balcone. L’approdo diventa allora un’altra avventura, si trasforma in una casa da riempire dei sogni rimasti in sospeso e della soddisfazione di essere riuscite ad attraversare quel mare mettendo a frutto quel sapere incarnato che solo l’esperienza della vulnerabilità ti insegna.

Adna allora si commuove, mi stringe, mi ringrazia. Ancora una volta ho il piacere di dirle che il grosso del lavoro l’ha fatto lei con la sua caparbietà e la sua capacità di ridere in faccia a quel destino che la vita le ha offerto.”