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Incrocio le storie dei migranti da una vita: storie dolorose, volti segnati, sguardi impauriti che cercano di ritrovare la speranza. Penso allora ai marinai e ai pescatori che si fanno toccare da quegli sguardi, ai tantissimi sindaci, cittadini, volontari e operatori sociali che rispondono a quello sguardo che ci interroga sulla nostra capacità di riconoscere un essere umano. Rispondono con enorme impegno tra mille difficoltà.

Per altri invece i migranti hanno un prezzo, un cartellino invisibile che indica quanto ci costano e quanto possiamo guadagnarci in danaro, in prestigio, in consenso politico. Come ogni merce, c’è una lunga catena distributiva che parte dalla produzione per arrivare, passaggio dopo passaggio, sui nostri banchi del mercato. E questa, purtroppo, non è satira: c’è davvero chi, di fronte a un migrante, non vede un uomo ma una possibilità di investimento a breve termine. E’ sotto gli occhi di tutti quanto è successo a Roma: i migranti trattati come materia prima che, opportunamente acquistata (anche con i trucchi e con la tradizionale corruzione del mercato casalingo) viene “lavorata” per diventare moneta sonante grazie ad una “oculata” gestione delle rette. Qualche coperta e un po’ di pane in meno, e i ricavi aumentano.

I ricavi, a leggere certe dichiarazioni, possono anche presentarsi sotto forma di consenso politico, conquistato a suon di urla e di minacce da certi politici nostrani ed esteri che, senza troppi scrupoli, hanno più interesse per le percentuali di voto che per la dignità delle persone. Riescono a trasformare donne, bambini e uomini macilenti in una minaccia per la sicurezza nazionale e per il benessere della società. Non posso negare che l’accoglienza abbia un costo economico e sociale, certo. Ma corrisponde al prezzo di un uomo? Quanto siamo disposti a pagare per salvare una vita? Io credo che di fronte a una vita in pericolo prima occorra salvarla, poi si potrà discutere di soluzioni.

Invece per questi moderni mercanti di schiavi le persone sono solo uno strumento per aumentare la propria ricchezza. A loro, atei o credenti, è inutile mostrare le parole di rispetto che ogni religione dedica allo straniero, i doveri dichiarati dalle convenzioni internazionali, i principi etici e morali che abbiamo faticosamente costruito passando per saccheggi coloniali, guerre civili e genocidi. Dove noi vediamo una persona, loro individuano una voce di bilancio.

Allora io voglio lanciare un appello: dimenticate le ragioni geopolitiche per cui arrivano qui (le guerre, la fame, una terra che con la complicità occidentale è stata impoverita e sfruttata senza ritegno, dittatori amici dei nostri governi), dimenticate i problemi che si generano quando dobbiamo trovare loro ospitalità, dimenticate la nostra crisi economica. Andate invece nei luoghi dove vengono ospitati nell’emergenza (a Milano, la mia città, ce ne sono parecchi) e guardateli, interrogateli sulla storia che hanno da raccontare, cercate di capire che cosa li ha spinti ad abbandonare le loro case per un viaggio verso l’ignoto. Non leggetelo attraverso i giornali, leggetelo sul loro volto, così come lo leggono i marinai siciliani che per primi li accolgono. Forse è l’unico modo per farli sentire nuovamente esseri umani e per ricordare a noi stessi che anche noi dobbiamo continuare a rimanerlo.
Don Gino Rigoldi